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Le avventure di Big Jeffrey

Dernière mise à jour : 21 nov. 2021










1. 30 MARZO dell'anno che vi pare a voi, tipo tra il 1950 al 1960.

Città all'americana. Piccola, che ti dici metteranno qualcosa di originale ed invece assolutamente no. Strade tutte uguali, fatte con squadra e righello senza un briciolo di immaginazione. Verticale, orizzontale, verticale, orizzontale. Alberi, certo, in alcuni punti. Tanto per dire: « Guardate! Ci facciamo attenzione alla natura! ». Poi le tre strade più importanti con diversi negozi, attrazioni e palazzi. E un mega enorme super gigantesco immenso supermercato, che ti chiedi che cavolo ci sta a fare in un posto come quello. E tutti i cittadini vanno li' a comprare, comprare, comprare e riempire le macchine di roba fino a farle straboccare dai finesrini...e ogni sabato é cosi. Già. Cliché. Città all'americana. Città di cui non c'é neanche bisogno di darle un nome...talmente é banale. La città si trova a valle ed é occupata da circa cento cinquanta mila cretini. Senza giudicare.

Lassù in collina, perché c'é anche una collina, anzi due per l'esattezza, ma la seconda non é vera perché é fatta di spazzatura. Quindi, lassù in collina altre venti casette, diciannove delle quali non ce ne frega assolutamente niente. Su di una sola portiamo attenzione: quella che é adiacente al boschetto. É l'ultima casetta e ha un mini giardino e quel gigante che sta uscendo di casa é Jeffrey.

Big Jeffrey.

Sono le sette e mezzo di mattina del 30 marzo e già lui suda. Si, ma é quasi comprensibile, é un gigante grasso. Vista dall'alto la scena é impressionante perché non sai se quello che si muove é umano. Jeffrey é enorme, e quando sale in macchina, ti vien da fare una preghiera per lei e per le due ruote lato guidatore.

Bisognerebbe mettere un bufalo dall'altro lato per equilibrare il tutto. Dico sul serio.

La macchina parte, non si sa come, e si lancia, dopo una breve e liberatoria discesa dalla collina, nella mischia del traffico. Poco, ma pur sempre traffico. La macchina non si puo' perdere di vista: é quella che pende tutta da un lato. Si ferma al vagone ristorante Peppino's, uno di quelli che hanno avuto la geniale idea di prendere un vagone vero di un treno vero e di piazzarlo ad un angolo di strada e farci un caffé ristorante. La gente ci va perché é divertente non perché é buono e a quello che gli é venuta l'idea non gliene frega niente, basta che ci vadano. Jeffrey ci va perché é buono, per lo meno a lui piace il caffé che ci fanno e soprattutto le due mega ciambelle. Esce con una ciambella in mano e l'altra in bocca, risale in macchina, la macchina urla, e va a lavoro a qualche isolato più in là parcheggiando sotto il solito albero dietro l'ufficio. E non capisci se, quando Jeffrey esce dalla macchina, é lui a far ombra all'albero o viceversa. Un altro rebus della vita.

Che ufficio? Jeffrey lavora alle poste. Si, é un impiegato delle poste, non un lottatore di wrestling. Potrebbe certo, ma non lo é, e non ne é capace.

Questo é quello che fa tutte le mattine da ormai quasi dieci anni. Povera macchina.

Aprono alle 8h30 spaccate e tocca a Carl. Personaggio insignificante, secco da nascondersi dietro a uno stuzzicadenti, vestito sempre con il solito vestito nero che la gente si chiede come é fatto il suo armadio: probabilmente ripieno di vestiti neri, solo neri. Che simpaticone.

Cristo, che tristezza.

Magari la gente uno spizzico di colore ce lo mette, una cravatta con qualche motivo un pò strano o qualcosa del genere. Anche lì, a sentirli sono i creatori dell'immaginazione vestimentaria! Ma fatemi il piacere. Son tutti come Carl, al massimo la macchia di caffé sulla camicia li rende differenti...

Insomma, per non tirarla tanto alla lunga, Carl viene alle 8:00 con la chiave appesa a quei porta chiavi lunghi che si mettono intorno al collo che ti tiran dietro quando ti abboni ad una di quelle riviste per sfigati. E Carl di certo non é un genio ed anche Jeffrey lo sa. Jeffrey sa molte cose. Troppe, forse.

Poi arrivano tutti gli altri più o meno nel solito ordine: Pitt, Elise, Marisa la segretaria, Antony e Jeffrey. Piccolo ufficio postale. Cristo, é una piccola cittadina di fottuti ignoranti ancora rimasti al piccione viaggiatore. Una lettera per loro é pura avanguardia. Quindi non é che abbiano cosi tanto lavoro da fare.

Poi arriva il capo. Ovvio. Il capo invece di mostrare l'esempio, é quello sempre in ritardo. É l'eccezione che conferma la regola, dice. Bravo, si, bei discorsi. Diciamo più che altro che ha difficoltà a svegliarsi dopo la sbronza abituale della veglia.

Si mettono tutti al loro posto dopo aver preso il solito caffé schifoso che tutti criticano ma che tutti bevono. Tutti tranne Jeffrey, lui si porta, insieme alla camicia, la sua boccetta di caffé che gli ha insegnato a fare la mamma. Brava. La mamma. Non la boccetta. E che si mette a bere lentamente come per assaporarsela. Cristo ci avrebbe tanto voluto inzupparci i biscottini al cioccolato della mamma. E li un paio di lacrime. « Cazzo Jeffrey! Ma perché cazzo piangi ogni volta che bevi il caffé! » Urla Pitt. « Brucia » Risponde Jeffrey. « E allora aspetta coglione » e li Pitt se ne va. Il solito copione. Prima o poi Jeffrey l'avrebbe cambiato. Alla Ispettore Callaghan. Ma forse lui non se lo sarebbe neanche fatto dire. Lo avrebbe guardato socchiudendo leggermente gli occhi, come fessure assassine, proprio come nei film. Fanculo Pitt. Si, fanculo. Ma oramai non ci fa neanche più caso, é comunque una della poche cose che gli dice nell'arco della giornata, quindi lui se le fa dire.


TO BE CONTINUED


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